Archivio

ARCHIVIO

I cristiani che si battezzano nel Secchia di Franco Focherini – Tutto Modena, 1967

I modenesi che seguirono Martin Lutero Franco Focherini – A1, novembre 1983

Aumenta la propaganda protestante Giornale, autore e data sconosciuti, probabilmente l’anno era il 1954

Pastori senza gregge (sotto la Ghirlandina) Autore sconosciuto, L’avvenire d’Iitalia,  19 ottobre 1954

Consenso popolare italiano alla Riforma di Paolo Sanfilippo – Il Messanngelo Evangelico, 15 gennaio 1959

I cristiani non cattolici in Italia – Cristo senza Pietro di Mariagrazia Cucco – Famiglia Cristiana, 28 marzo 1971

Evangelical Radio Ministry Autore sconosciuto – Daily American, 20 maggio 1980

Sette religiose: storia e teologia Autore ed editore sconosciuti, – Modena, 1968

Storia delle Assemblee dell’Emilia Romagna Deliso Corradini – Il Cristiano, 1 maggio 1980

Lealtà in tensione Relazione della presentazione del libro omonimo, Ed. Alfa & Omega, 21 febbraio 2010

Evangelici ieri, evangelici oggi Relazione della conferenza, Arezzo, 16-17 aprile 2011

Ferrara, Conseguenze politiche e religiose del terremoto del 17 dicembre 1570 – Ferrara Estratto da: Epicentro Emilia Romagna da mille anni nei racconti dei cronisti antichi – Costa Editore, Bologna 2012

Evangelici e Risorgimento Relazione della conferenza, Reggio Emilia, 15 ottobre 2011

La Riforma Protestante dalla Germania a Modena Irene Bitassi, Relazione della conferenza, Bagnolo In Piano (RE), 19 febbraio 2013

Le parole della Bibbia nel tempo Giulia Veneziano, Tesi di laurea, 29 ottobe 2015

1517-2017, 500 anni della Riforma protestante Anniversario della Riforma protestante, 4 dicembre 2017

Martin Lutero e l’inizio della Riforma Scheda didattica

AUDIO

Eretici ed eresie a Modena nel ‘500 Registrazione audio della conferenza, Modena, 26 novembre 2014


1607-2007, 400° anniversario della prima traduzione della Bibbia in italiano – La Bibbia Diodati a Modena
Fares Marzone, Registrazione audio della conferenza, Biblioteca Estense, Modena, 22 dicembre 2007

 

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Glossario

GLOSSARIO

Anabattismo

Movimento plurale nato nel secolo della Riforma protestante del XVI secolo.
L’anabattismo prende il nome dalla pratica del ri-battesimo degli adulti che sarà poi anche fatta propria dai battisti dei secoli successivi. Gli anabattisti, però, non hanno mai usato questo termine per designarsi, perché non pensavano di “ribattezzare” qualcuno, dal momento che non consideravano valido il battesimo dei bambini. I figli degli anabattisti, non ricevendo alcun battesimo alla nascita, venivano battezzati una sola volta da adulti, se credevano.
L’origine del movimento può essere ricondotta alla costituzione della prima comunità anabattista avvenuta a Zollikon nei pressi di Zurigo nel 1525 sulla spinta della riforma promossa da Zwingli. Un gruppo di suoi seguaci prese le distanze dalla sua decisione di appoggiare una riforma della chiesa lenta e affidata allo Stato.
La pratica del battesimo ai soli adulti, che ne facessero richiesta, si rifaceva al Nuovo Testamento (Marco 16:16: «Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato») e favoriva una chiesa di soli professanti contro una moltitudinista.
Tendeva, quindi, a disgiungere l’identificazione (allora normale sia nei Paesi cattolici, sia in quelli protestanti) tra comunità politica e comunità di fede, con una più netta separazione tra Stato e Chiesa. Ciò spiega le frequenti persecuzioni a cui il movimento andò incontro.

Congrezionalismo

Organizzazione ecclesiastica che privilegia l’autonomia spirituale e finanziaria delle chiese locali (congregazioni), le quali eleggono il proprio pastore.

Episcopalismo

Organizzazione ecclesiastica con una struttura gerarchica di vescovi che nominano altri vescovi, i presbiteri e i diaconi. A livello territoriale si articola in diocesi, formate da parrocchie.

Giustificazione

Il significato biblico di «giustificare» (ebraico: «sâdêq» – greco: «dikaioô») è «pronunciare giusto, accettare e trattare come giusto».
La dottrina della giustificazione determina il carattere del Cristianesimo come religione di grazia e di fede. Essa definisce il significato salvifico della vita e della morte di Cristo, collegandole entrambe alla legge di Dio (Romani 3:22-24; 5:15-17). Chiarisce cos’è fede, cioè il credere nella morte espiatrice di Cristo e nella sua resurrezione giustificante (Romani 4:23; 10:9-10).
La giustificazione ha due aspetti. Da una parte, significa perdono, remissione e non imputazione di tutti i peccati, riconciliazione con Dio e fine della sua ira (Atti 13:39; Romani 4:6; II Corinzi 5:19). Dall’altra, significa il conferimento dello status di giusto e delle benedizioni promesse al giusto in termini di adozione e di eredità.
La giustificazione significa il riposizionamento permanente in uno stato di favore e di privilegio, così come il perdono completo dei peccati.
La giustificazione è gratuita, cioè totalmente immeritevole (Romani 3:23-25): Gesù ci giustifica mediante il suo sangue e la sua pura grazia (Tito 3:7).
Il concetto di «giustificazione per fede» è alla base della Riforma protestante, inquanto cardine fondamentale della riflessione teologica di Lutero. Molto esplicativa a tal proposito è la stessa testimonianza del riformatore tedesco:
«Mentre meditavo giorno e notte ed esaminavo il concatenamento delle parole seguenti: “La giustizia di Dio è rivelata in esso (cioè nell’evangelo) da fede a fede come è scritto: il giusto vivrà per fede”, cominciai a capire che la giustizia di Dio è quella per la quale il giusto vive per il dono di Dio, cioè per la fede, e che la giustizia di Dio significa qui la giustizia che Dio dona, per mezzo della quale il giusto “vive”, se ha fede. Il senso della frase è dunque questo: l’evangelo ci rivela sì la giustizia di Dio, ma la giustizia passiva, per mezzo della quale Dio, nella sua misericordia, ci giustifica mediante la fede, come è scritto: “il giusto vivrà per fede”. A questo punto mi sentii rinascere, e mi parve che si spalancassero per me molte porte del paradiso. Cominciai a percorrere le Scritture, e notai altri termini che si dovevano spiegare in modo analogo: l’opera di Dio, cioè l’opera che egli compie in noi; la potenza di Dio, mediante la quale egli ci dà forza; la salvezza, la gloria di Dio. Come avevo odiato prima l’espressione giustizia di Dio, altrettanto amavo ed esaltavo ora quella parola dolcissima. Così quel passo di Paolo divenne per me la porta del paradiso».

Indulgenza

Nella dottrina cattolica, il termine serve a indicare il condono totale o parziale della pena temporale che andrebbe scontata in purgatorio. Questa remissione della pena viene concessa in cambio di prestazioni richieste al credente (partecipazione a una crociata, partecipazione a un Anno santo, un’offerta…) attingendo al «tesoro dei meriti», cioè un deposito di buone opere di Cristo e dei santi, di cui il papa sarebbe il custode.

Nicodemismo

Indica la pratica di quei protestanti nascosti che esternamente seguivano i dettami della chiesa cattolica per non essere perseguitati. Il termine, coniato da Calvino, deriva da Nicodemo, un capo fariseo, che va a trovare Gesù di nascosto in piena notte (Vangelo di Giovanni, cap. 3).

Presbiterianesimo

Organizzazione ecclessiastica basata su un ordinamento gerarchico di concistori e sinodi, composti da membri anziani («presbiteri») consacrati e laici, eletti dalla comunità e confermati dal corpo regionale degli anziani («presbiterio»).

Protestante

Il termine deriva dalla parola latina con cui si apriva la dichiarazione presentata alla seconda Dieta di Spira (1529) dai principi tedeschi che avevano abbracciato le posizioni di Lutero. Essi rivendicavano il diritto alla libera predicazione evangelica, iniziando con l’affermazione: «Dichiariamo solennemente [protestamur] dinanzi a Dio nostro unico Creatore, Redentore, Salvatore, il quale un giorno ci chiamerà in giudizio e davanti a tutti gli uomini, che non siamo in alcun modo disposti ad accettare un’imposizione contraria a Dio, alla sua Parola, alla nostra coscienza e alla salvezza delle anime nostre».

Relapso

Il termine indica chi è caduto una seconda volta nell’eresia. Se dopo una prima abiura davanti all’inquisitore, si veniva scoperti di nuovo ad aderire a dottrine eterodosse, la probabilità di condanna a morte diventava molto alta.

Salvezza per grazia

Dono gratuito di Dio per il peccato di tutta l’umanità passata, presente e futura. In Cristo Gesù, unico mediatore tra Dio e l’uomo (stabilito da Dio), con la sua morte in croce e la sua resurrezione, unico e perfetto sacrificio fatto per amore verso l’uomo peccatore, per fede si ottiene così il perdono gratuito (=GRAZIA) di tutti i peccati e, come scritto, la vita eterna. La grazia è venuta per mezzo di Gesù Cristo (Giovanni 1:17) Luca 23:39-43, Atti 4:10-12, Romani 3:21-27, Efesini 2:7-10

Scisma

Questo termine, che traduce il greco «schisma» (sfacceture, scissione, divisione) è presente otto volte negli scritti del Nuovo Testamento: ciò determina, com’è ovvio, il suo significato teologico.
È necessario, in primo luogo, operare un importante chiarimento: «scisma» ed «eresia» sono vocaboli distinti, tali cioè da non poter essere usati in modo intercambiabile (come invece generalmente avviene nell’immaginario collettivo).
Lo scisma è una divisione di una chiesa da un’altra per motivi contingenti (politici, organizzativi, etc.), senza una messa in discussione della dottrina. Le due chiese, pur separatesi, continuano ad avere lo stesso credo. Ad esempio, le chiese nate da Lutero, da Calvino, da Zwigli e dagli anabattisti erano «riformate», derivanti, per prima cosa, da una profonda revisione della dottrina alla luce delle Scritture. Invece, la divisione della chiesa anglicana dalla chiesa cattolica voluta da Enrico VIII si è configurata come un semplice «scisma», in cui, per ragioni prettamente dinastiche, la chiesa è stata passata sotto l’autorità del sovrano, mantenendo però le dottrine e il culto della chiesa di Roma.

Tra i vari scismi verificatisi nella storia del Cristianesimo, si ricordano soprattutto:

Scisma donatista. Avvenne nell’Africa proconsolare, agli inizi del IV secolo. Tutto scaturì da una questione etica che, subito dopo la persecuzione messa in atto dall’imperatore Diocleziano, fu sollevato da un certo Donato di Casae Nigree.

Scisma greco. Riguardò la chiesa d’Occidente e quella d’Oriente. Nonostante le loro relazioni fossero risultate problematiche fin dalla metà del II secolo con la controversia sulla data della celebrazione della Pasqua, la causa dello scisma risiedeva nella progressiva e sempre più marcata contrapposizione di potere (anche politico) tra Roma e Costantinopoli, la città che Costantino aveva eletto a nuova capitale dell’Impero.

Grande scisma. Si consumò tra il XIV e il XV secolo. Nel 1378, subito dopo la morte di Gregorio XI, si ebbe l’elezione di due papi: uno a Roma, l’altezzoso Urbano VI (8 aprile); l’altro ad Avignone, il ginevrino Clemente VII (20 settembre). Al papa italico succedettero, nel giro di pochi anni, Bonifacio IX (1389-1404), Innocenzo VII (1404-1046) e Gregorio XII (1406-1415). A quello francese, invece, succedette Benedetto XIII (1394-1417). Nel 1409, il concilio di Pisa, intendendo mettere fine al «grande scisma» depose sia Gregorio XII sia Benedetto XIII ed elesse Alessandro V: a quel punto, paradossalmente, la chiesa cattolica aveva tre papi. La soluzione del problema arrivò solo nel 1417, durante il Concilio di Costanza, quando fu eletto papa Oddone Colonna, il quale assunse il nome di Martino V.

Sola

Vengono chiamati i 5 sola della Riforma cinque formule latine, che sintetizzano princìpi fondamentali a cui si richiamano le diverse chiese nate dalla Riforma, al di là delle differenze su questioni minori. Questi princìpi sono:

sola Scriptura (“con la sola Scrittura”): la dottrina vincolante per il credente è contenuta nella sola Bibbia, senza tradizione o magistero come nella chiesa cattolica romana;
sola fide (“per sola fede”): la giustificazione avviene per sola fede, senza opere;
sola gratia (“per sola grazia”): la salvezza avviene solo per un atto di grazia da parte di Dio, senza meriti da parte del peccatore;
solus Christus (“soltanto Cristo”): Gesù è l’unico Salvatore e l’unico mediatore tra Dio e gli uomini;
soli Deo gloria (“solo alla gloria di Dio”): solo Dio è degno di ogni gloria e onore

Trinità

La dottrina della Trinità afferma che:

– Dio è in tre Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo;
– ognuna di queste Persone è pienamente Dio;
– Dio è uno solo.

Le tre Persone della Trinità non sono né tre divinità distinte (politeismo), né tre aspetti della medesima divinità (modalismo).
Il termine «Trinità» fu coniato da Tertulliano (II secolo d.C.) per esprimere la dottrina presente nella Bibbia e fu precisato con il concilio di Nicea (325).
La dottrina della Trinità è fondamentale e biblica nelle chiese ortodosse, cattolica e da quelle nate dalla riforma protestante. Tuttavia, non sono mai mancate nella storia eresie antitriniatrie che, vista la complessità della dottrina, l’hanno rifiutata, come, ad esempio, gli ariani, i mormoni, i testimoni di Geova.

Valdesi

Il movimento valdese nasce nel XII secolo, quando Pietro Valdo, mercante lionese, decise di vivere la propria fede cristiana nella sua purezza primitiva. I «poveri di Lione», suoi discepoli, si impegnarono nel rinnovamento della chiesa, rivendicando il diritto alla predicazione a tutti i credenti. Pur scomunicati, si diffusero in Europa e nel Nord Italia. Si mantennero attivi, sia pure in forma clandestina, in molte regioni europee fino alla Riforma protestante del XVI secolo. Nel 1532 aderirono alla Riforma protestante calvistinista e nei secoli successivi riuscirono a sopravvivere nelle valli valdesi in Piemonte.

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Bibliografia

GLOSSARIO

  • AA. VV., La Riforma nelle terre estensi. Vicende e personaggi del Cinquecento tra Ferrara, Modena e Reggio, 2018
    Numero monografico della rivista i «Quaderni del Ducati» dell’associazione storica modenese Terra e Identità, in occasione dei 500 anni della Riforma protestante. Il volume molto ampio (più di trecento pagine), a cura di Roberta Iotti, parecchi saggi storici di autori di diversi orientamenti su persone, movimenti e arte legati in qualche modo alla Riforma o alla Controriforma nello Sato Estense.
  • AA.VV., Il Cimitero di San Cataldo a Modena, Franco Cosimo Panini, 2012
    Preparata in occasione delle 20° edizione delle Giornate di Primavera a favore del FAI, si tratta di una guida al cimitero monumentale ottocentesco di Modena.
    Per quanto riguarda la storia degli evangelici a Modena, vanno segnalate le pagg. 90-94, a cura di G. Squadrini e M. Selmi, dedicate alla storia dell’area evangelica del cimitero.
  • Al Kalak Matteo, Il riformatore dimenticato. Egidio Foscarari tra Inquisizione, concilio e governo pastorale (1512-1564), Il Mulino, Bologna, 2016
    Il libro ripercorre la vita di Egidio Foscarari, dalla formazione nel convento bolognese di San Domenico alla morte nel 1564 e oltre, con un capitolo dedicato a come fu ricordato nei decenni successivi.
    Foscarari fu maestro del Sacro Palazzo, quindi vescovo di Modena dal 1550 alla morte. Fu inquisito, poi, prosciolto, prese parte al Concilio di Trento. Partecipò alla stesura del primo Indice romano dei libri proibiti, alla revisione e apporovazione degli Esercizi d’Ignazio di Loyola, alla stesura del Catechismo e alla revisione del Breviario e del Messale. Si adoperò per una riforma della chiesa cattolica che s’incentrasse sulla moralizzazione del clero, l’aiuto ai poveri, la residenza dei vescovi nelle proprie diocesi e un atteggiamento di dialogo mite con gli eterodossi.
    Foscarari incarnava l’idea di una riforma della chiesa fondata sui vescovi, quali buoni pastori attivi e miti. La sua immagine di vescovo esemplare, impegnato al servizio della chiesa, era presente soprattutto nel ricordo di vescovi che, a loro volta, sono ricordati per aver esercitato con rigore e impegno il loro ruolo. Tuttavia, questa immagine positiva non poteva essere condivisa da coloro che premevano per una riforma della chiesa guidata dal pontefice romano e dal Sant’Ufficio, a causa dei metodi concilianti di Foscarari con gli eterodossi. La damnatio memoriae di cui fu vittima si spiega con la sostanziale vittoria di questa seconda fazione sulla rappresentazione dell’operato del vescovo.
    Le vicende tracciate dal libro si presentano interessanti non solo per la conoscenza di una figura di spicco del Cinquecento, ma anche perché la sua vicenda mette in luce retroscena e passaggi importanti della storia di questo periodo, soprattutto le diverse proposte di riforma che rivaleggiavano all’interno della chiesa cattolica (in particolare quella incentrata sui vescovi, di cui Foscarari fu esponente di rilievo, per come cercò di esercitare il suo ruolo a Modena).
    Per quanto attiene strettamente all’eterodossia modenese, si segnalano di particolare interesse i seguenti paragrafi: «La predicazione: il caso Bagnacavallo» (pp. 138-148); «Il controllo dell’eresia» (pp. 155-166); «La diffusione di opere a stampa» (pp. 166-175).
  • Al Kalak Matteo, L’eresia dei fratelli. Una comunità eterodossa nella Modena del Cinquecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2011
    Il libro di Al Kalak si inserisce nella serie di studi che l’autore da diversi anni sta conducendo sulla storia della chiesa modenese nel Cinquecento.
    Come si evince dal titolo, il testo affronta soprattutto il periodo della «Comunità dei fratelli» (il periodo tra il 1545 e il 1570 circa), inqudrandoli però anche alla luce dell’Accademia e seguendo i successivi strascichi giudiziari.
    I temi affrontati riguardano molti aspetti della comunità: l’origine, la composizione, l’organizzazione, i libri, le dottrine e i rapporti con i sacramenti. È dato ampio spazio anche alle strategie difensive degli eterodossi davanti al Tribunale dell’Inquisizione, alle controffensive degli inquisitori e al ruolo di mediazione e compromesso svolto dalle autorità civili (Corte estense e Conservatori). Un ultimo capitolo è dedicato ai metodi di sorveglianza adottati dall’Inquisizione, negli anni successivi alla distruzione della comunità dei «fratelli». La ricerca è esaustiva e ricca e c’è quindi da scommettere che, nei prossimi decenni, questo libro rimarrà un testo fondamentale per ogni ricerca sull’argomento.
    Pur essendo, come le altre opere dell’autore, uno scritto specialistico, la lettura si presenta abbastanza scorrevole e, perciò, indicata anche per i non «addetti ai lavori». Spiace solo l’uso continuo dei termini eretici ed eresia, pesanti in termini di giudizio implicito, a scapito dei più neutri eterodossi ed eterodossia.
  • Al Kalak Matteo, Storia della Chiesa di Modena dal Medioevo all’Età contemporanea. Profili di vescovi modenesi dal IX al XVIII secolo, Poligrafico Mucchi, Modena, 2006
    Il testo segue la biografia e le scelte pastorali di undici vescovi modenesi tra il medioevo e l’inizio del periodo napoleonico. Per la storia della Riforma, è da segnalare il capitolo dedicato ad Egidio Foscarari.
  • Al Kalak Matteo, La città di tutte l’heresie. Attuazione e divulgazione del Concilio di Trento a Modena (1536-1627), Poligrafico Mucchi, Modena, 2005
    Il libro affronta i provvedimenti attuati nella diocesi di Modena a partire dal 1563, a seguito delle direttive fornite dal Concilio di Trento, con particolare riguardo ai sinodi, alle visite pastorali, alla creazione degli archivi parocchiali e alla fondazione dei seminari.
    Nell’introduzione e nel capitolo dedicato all’Inquisizione, si trovano anche informazioni sul movimento eterodosso.
    In tutti i capitoli e in appendice si trovano ampie trascrizioni dei documenti.
  • Al Kalak Matteo, Gli eretici di Modena. Fede e potere alla metà del Cinquecento, Mursia, Milano, 2008
    Questo libro affronta diversi aspetti legati al movimento eterodosso modenese: la presenza di elementi radicali, il ruolo delle donne, i rapporti tra vescovi e Capitolo, il controllo sul vescovo durante la Controriforma.
    Il testo si presenta nel complesso un po’ disorganico, perché ogni capitolo tende a fare da saggio a sé stante, senza essere particolarmente legato agli altri in una trama complessiva. Tuttavia, le ricerche effettuate sono tutte molto interessanti e particolarmente originale risulta quello sulle donne, argomento mai approfondito prima per quanto riguarda Modena. Da segnalare anche una ampia sezione dedicata alla trascrizione di alcuni documenti utilizzati nello studio.
    Utile anche la postfazione di Marco Cattini, che traccia il profilo economico e sociale della città nel Cinquecento.
  • An. (a cura di Cesare Bianco, introduzione di J. Trapman), Il Sommario della Santa Scrittura e l’ordinario dei cristiani, Claudiana, Torino, 1988
    Si tratta di uno dei classici della Riforma italiana. Il libro aveva la forma di manuale di vita cristiana rivolto a tutti, ma soprattutto ai laici. In esso, infatti, era forte la polemica contro il formalismo ecclesiastico, mentre la vita quotidiana dei lavoratori veniva considerata la più cristiana possibile.
    Nell’edizione della Claudiana vi è un’interessante di Cesare Bianco sulla diffusione del testo, fra cui diverse informazioni riguardo ad episodi accaduti a Modena, in particolare la famosa predica di Serafino da Fermo e la conseguente parodia ad opera dell’Accademia.
  • Benedetto da Mantova, Marcantonio Flaminio (introduzione e note a cura di Salvatore Caponetto), Il Beneficio di Cristo, Claudiana, Torino, 1975
    Questo testo, opera del benedettino cassinese Benedetto Fontanini da Mantova e di Marco Antonio Flaminio, fu scritto nel 1542 e divenne presto il testo classico dello spiritualismo italiano. In esso gli autori trovavano il principio fondante della chiesa cristiana nella comunità invisibile di eletti che avevano posto la loro fede nel «beneficio di Cristo», cioè nel sacrificio della croce che li incorporava nella morte e nella resurrezione del Signore. Questa «chiesa degli eletti di Dio» trascendeva i confini delle diverse denominazioni e a essa gli autori si rivolgevano.
    Fu un vero best-sellers del Cinquecento italiano e compariva praticamente sempre nelle testimonianze giudiziarie a carico degli eterodossi. Definito eretico già nel 1544, fu oggetto di un accanimento inquisitoriale particolarmente duro, che portò alla distruzione di quasi tutte le copie.
    L’edizione della Claudiana presenta un’interessante introduzione di Salvatore Caponetto che ripercorre i contenuti e la storia del libro.
  • Bianchi Tommaso (detto Lancillotti), Cronaca modenese, in Monumenti di storia patria. Serie delle cronache, Vol. XII, Parma, 1862-1884
    Tommasino de’ Bianchi, detto il Lancellotti, era un borghese in ascesa che, interessato alla vita pubblica cittadina, annotò per un periodo lunghissimo, dal 1503 al dicembre del 1554, gli avvenimenti più interessanti avvenuti a Modena. Cattolico ortodosso, che però non risparmiava critiche ai religiosi, diede ampio spazio alle manifestazioni di eterodossia. La sua cronaca costituisce perciò un’interessante documentazione sui fermenti religiosi dell’epoca.
    Purtroppo, però, l’opera non ci è arrivata intatta: infatti, presso la Biblioteca Universitaria Estense, dove si conserva l’originale, mancano i volumi dal 1543 all’aprile del 1545, almeno a partire dalla fine del ‘700. Inoltre, i testi presentano alcune cancellature, in corrispondenza dei nomi di eterodossi modenesi illustri. Nell’edizione della Cronaca della Biblioteca Estense, edito su incarico della Reale Deputazione di Storia Patria delle Provincie Modenesi, Carlo Borghi supplì parzialmente grazie ad una trascrizione riassunta dello Spaccini della fine del ‘500, che si conserva presso l’Archivio Comunale di Modena. La misteriosa sparizione dei volumi, entro questo intervallo di tempo, venne spiegata dal Tiraboschi con la volontà di alcune famiglie importanti di occultare tracce di luteranesimo dal loro passato. Il Cavazzuti attribuì le gravi manomissioni addirittura al Muratori, che fu bibliotecario all’Estense dal 1700 al 1750.
    Nonostante ciò, queste cronache sono indispensabili alla ricerca storica, per l’importanza degli avvenimenti narrati, tanto è vero che si trovano citate in quasi tutti gli studi che si occupano di eterodossia modenese.
  • Bianco Cesare, Bartolomeo della Pergola e la sua predicazione eterodossa a Modena nel 1544, in Bollettino della Società di Studi Valdesi, 151, Società di Studi Valdesi, Torre Pelice (To), Luglio 1982
    Questo articolo descrive in maniera dettagliata la predicazione di Bartolomeo della Pergola a Modena nel 1543 e le successive vicende giudiziarie, compresa la ritrattazione in duomo.
    E’ particolarmente interessante sia per il ruolo che il Morone ebbe in tutta la vicenda, sia per i riflessi che quella predicazione ebbe sull’adesione al movimento eterodosso.
    Il bollettino è acquistabile anche tramite il sito della Società di studi storici valdesi.
  • Bianco Cesare, La comunità di «fratelli» nel movimento ereticale modenese del ‘500, in Rivista Storica Italiana, Vol. XCII, fasc. II-IV, pagg. 621-679, 1980
    Questo lungo articolo, apparso sulla Rivista Storica Italiana, è di fondamentale importanza per lo studio del movimento eterodosso modenese tra il 1545 ed il 1570.
    Attraverso l’analisi di numerosi processi inquisitoriali, vengono definite la composizione e le caratteristiche della comunità riformata, che viveva clandestinamente a Modena. Attraverso un’ampia panoramica, vengono analizzati tutti gli aspetti fondamentali: la composizione sociale, il credo, l’organizzazione, il tipo di culto celebrato, i testi letti e i metodi di proselitismo.
  • Biondi Albano, La cultura a Modena tra Umanesimo e Controriforma, in Storia illustrata di Modena (a cura di Gollinelli Paolo e Muzzoli Giuliano), Vol II, pagg. 521-560, Nuova editoriale AIEP, Modena, 1990-1991
    Sezione di un’opera enciclopedica, in cui si affrontano vari aspetti della vita culturale modenese nel Cinquecento, tra cui l’Accademia del Grillenzoni che, nata come circolo letterario, finì per diventare gruppo di avanguardia nel tentativo di riformare la chiesa.
  • Biondi Albano, Tommasino Lancellotti, la città e la chiesa a Modena (1537-1554), in Contributi, II, n. 3, pagg. 43-61, Gennaio-Giugno 1978
    Questo articolo si presenta come un’illustrazione dell’interessante cronaca del Lancillotti, borghese in ascesa che, interessato alla vita pubblica cittadina, annotò per un periodo lunghissimo, dal 1503 al dicembre del 1554, gli avvenimenti più interessanti avvenuti a Modena. In modo particolare, si analizzano le vicende legate ai problemi religiosi.
  • Biondi Albano, Streghe ed eretici nei domini estensi all’epoca dell’Ariosto. Atti del convegno società e cultura al tempo di Ludovico Ariosto (Reggio E.- Ferrara, 22-26/10/1975), in Il Rinascimento nelle corti padane. Società e Cultura., Bari, 1977
    Quest’articolo è suddiviso sostanzialmente a metà. Nella prima parte, viene affrontata la situazione modenese del Cinquecento relativamente alla stregoneria. Nella seconda, si sofferma sul movimento eterodosso, di cui ripercorre velocemente tutta la storia.
    Può essere utile, in modo particolare integrandolo con l’articolo di Cesare Bianco: La comunità di «fratelli» nel movimento ereticale modenese del ‘500.
  • Bitassi Irene, I protestanti di Modena (1536-1571), Il Fiorino, Modena, 2010Negli ultimi decenni, le numerose ricerche storiche ad opera di Cesare Bianco, Salvatore Caponetto, Massimo Firpo, Anotonio Rotondò, Susanna Peyronel Rambaldi e recentemente di Matteo Al Kalak hanno fornito prova che a Modena vi fu una delle più organizzate comunità evangeliche del Cinquecento. I loro studi hanno seguito il percorso di questo movimento, dalle prime istanze di riforma pensata ancora all’interno della chiesa cattolica all’organizzazione di una comunità clandestina, mettendo in luce una complessa rete di solidarietà familiari, sociali ed economiche tra eterodossi e poteri cittadini. Particolare rilievo è stato dato anche all’intrecciarsi delle vicende locali con la grande Storia, soprattutto con la «guerra civile» nella chiesa romana tra il partito degli spirituali e quello degli intransigenti.Il quadro complessivo, che esce dallo studio di queste ricerche, è molto ricco. Ci restituisce l’immagine di una città che visse la Riforma in un momento sia di rinascita umanistica delle lettere, sia di tumultuosi cambiamenti sociali. L’economia era in grande sviluppo, soprattutto grazie alla speculazione edilizia e all’arte della lana, ma contemporaneamente i contadini scappati dalle campagne venivano a soffrire la fame in una città, le cui opere pie non erano preparate a sovvenire tanti poveri. Il duca estense si barcamenava, tentando di conservare il potere, messo in pericolo da una parte dall’interferenza di Roma e dall’altra dalle autorità cittadine gelose della propria indipendenza. Le speranze di cambiamento si focalizzarono sul tema della riforma della chiesa e il vescovo Morone, che avrebbe dovuto garantire l’ortodossia, venne additato a sua volta come luterano dall’opinione pubblica.Insomma, una storia complessa e affascinante, che meriterebbe di essere conosciuta dai modenesi, quale parte importante della loro identità. Ma un pezzo della storia della città per secoli rimossa e nascosta come vergognosa, al punto che documenti e opere originali sono stati di proposito alterati nei secoli, per cercare di nascondere tracce di luteranesimo dal passato di famiglie importanti e, soprattutto, della più famosa generazione di intellettuali che Modena abbia avuto: quella di Ludovico Castelvetro, di Filippo Valentini, di Francesco Maria Molza e di Giovanni Bertari, riuniti nell’Accademia del Grillenzoni.Tuttavia, nel complesso degli studi specialistici pubblicati, si avverte la mancanza di un testo riassuntivo, che fornisca al lettore un quadro unitario dello sviluppo del movimento eterodosso modenese nel Cinquecento e che tenti di fornire una periodizzazione delle vicende che si svolsero tra il 1536 e il 1571. Da questa esigenza è nata l’idea di questo compendio di carattere divulgativo.
  • Braglia Gianni, L’Inquisizione a Modena nell’età moderna. Benevola o crudele?, Edizioni Terra e identità, Modena, 2009
    Il testo ripercorre la storia dell’Inquisizione a Modena, dalla sua istituzione nel Medioevo alla sua soppressione nel 1785. Oltre ai capitoli iniziali e quello conclusivo dedicati alla storia dell’istituzione in generale e ai suoi rapporti di forza con le autorità civili, il libro ripercorre le dinamiche d’intervento del tribunale nei confronti di questioni specifiche, in particolare nei confronti di eterodossi, ebrei e stregoneria.
    Il carattere divulgativo dell’esposizione rende agevole la lettura, nonostante il lungo arco temporale coperto dal testo, permettendo così di avere una prima interessante panoramica dell’attività e del modus operandi del Sant’Uffizio a Modena.
    Per quanto attiene lo studio dell’eterodossia modenese, si segnalano in particolare:

    • nel Capitolo I, i paragrafi «Modena nel Cinquecento: società ed economia» (pp. 17-21) e «1542: con la bolla Licet ab initio nasce l’Inquisizione moderna» (pp. 21-24);
    • nel Capitolo II, i paragrafi «Modena: l’organizzazione politica» (pp. 31-35), «L’Inquisizione, il Consiglio e il Duca» (pp. 35-37), «Il caso Sassi» (pp. 37-39) e «Il movimento eterodosso» (pp. 40-43);
    • tutto il Capitolo III, «La sfida ereticale: il Cinquecento e l’Accademia» (pp. 57-80).
  • Caponetto Salvatore, La Riforma protestante nell’Italia del Cinquecento, Claudiana, Torino, 1997
    L’Italia non ha avuto la Riforma perché gli italiani erano refrattari alle dottrine protestanti o perché la situazione politica e la reazione inquisitoriale non lo hanno consentito, malgrado una vasta adesione?
    Questo libro, che sintetizza con rigore scientifico un numero elevato di ricerche e di scoperte, si limita a esporre i fatti accertati, offrendo un quadro articolato e molto vasto. È la narrazione documentata dell’influenza esercitata dai riformatori, dall’accettazione della loro dottrina e del tentativo di organizzare chiese alternative, collegate con Ginevra, nella speranza di ottenere libertà di pensiero e di culto. Nel panorama molto ampio offerto dal libro, per uno studio su Modena, è essenziale il capitolo XV, dedicato alla città emiliana e a Mantova. Interessante anche il capitolo XIV, dove si raccontano le vicende legate a Renata di Francia, moglie del duca estense.
  • Caponetto Salvatore, Due opere di Melantone tradotte da Lodovico Castelvetro: «I principii de la theologia di Ippophilo da Terra Negra» e «Dell’autorità della Chiesa e degli scritti degli antichi», in Nuova Rivista Storica, LXX, fasc. III-IV, pagg. 253-274, 1986
    Come si capisce chiaramente dal titolo, lo scopo principale dell’articolo è dimostrare l’attribuzione al Castevetro di due traduzioni di opere del Melantone: i «Loci Communes» e il «De ecclesiae autoritate». La prima attribuzione è stata contestata già l’anno seguente alla pubblicazione dell’articolo da Silvano Cavazza (Libri in volgare e propaganda eterodossa: Venezia 1543-1547, in Libri, idee e sentimenti religiosi nel Cinquecento italiano, Ferrara-Modena, Panini, 1987).
    Sulla seconda, invece, non sembrano esserci dubbi, essendo, oltretutto, proprio la contestazione di quella traduzione, da parte dell’inquisitore, ad aver costretto il Castelvetro alla fuga all’estero. Oltre alle questioni più «tecniche» sull’attribuzione degli scritti, l’articolo è molto interessante sia per l’analisi del significato che poteva rivestire la traduzione del «De ecclesiae autoritate» all’interno dei dibattiti nell’Accademia del Grillenzoni, sia per la narrazione delle ultime vicende del Castelvetro.
  • Cavazzuti Giuseppe, Ludovico Castelvetro, Antica tipografia Soliani, Modena, 1903
  • Cremonini Patrizia, Misfatti di confine tra ‘500 e ‘700. La lunga mano dell’Inquisizione modenese su terre bolognesi, Maglio Editore, San Giovanni in Persiceto (Bo), marzo 2014
    ll libro è il catalogo della mostra organizzata nella chiesa di Sant’Apollinare a San Giovanni in Persiceto (BO) sulle eresie e magie tra Modena e Bologna, nell’ambito del ciclo di eventi triennali sulla «terra di mezzo», poi replicata e ampliata all’Archivio di Stato di Modena tra il 10 aprile e il 20 settebre 2014.
    Per quanto riguarda la storia dell’eterodossia a Modena, si presenta particolarmente interessante la prima parte (pp. 18-39), dedicata all’Inquisizione: la storia in generale, il funzionamento, i Tribunali di Modena e Bologna.
    Nelle parti successive, tra i fascicoli processuali, si trova la descrizione della storia di Tommaso Bavellino (pp. 87-89).
    Da segnalare anche, tra gli editti a stampa, la riproduzione dell’editto del 10 febbraio 1568 con cui Pio V pemetteva l cardinal Morone di assolvere chi si presentava a confessare la propria eresia (p. 99), gli editti con gli elenchi dei libri all’Indice del 1° marzo 1606 (p. 101), del 7 settembre 1609 (p. 102) e del 12 novembre 1616 (p. 103).
  • Firpo Massimo, Filippo II, Paolo IV e il processo inquisitoriale del Cardinale Morone, in Rivista Storica Italiana, Vol. XCV, fasc. I, pagg. 5-62, 1983
    In questo articolo, apparso sulla Rivista Storica Italiana, si affronta il processo al Morone, soprattutto nell’ottica degli scopi perseguiti dal Carafa e del ruolo svolto dagli Asburgo nella difesa del cardinale.
  • Firpo Massimo, Riforma protestante ed eresie nell’Italia del Cinquecento, Laterza, Bari, 1993
    Il libro segue il diffondersi dell’eterodossia nell’Italia del Cinquecento, affrontandone vari aspetti.Il capitolo IV è dedicato a Modena.
  • Firpo Massimo, Gli «spirituali», l’Accademia di Modena e il Formulario di Fede del 1542: controllo del dissenso religioso e nicodemismo, in Rivista di storia e letteratura religiosa, Vol. XX, pagg. 40-111, 1984
    Questo articolo, apparso sulla Rivista Storica Italiana, ripercorre nei dettagli le vicende relative alla firma del Formulario di fede del 1542, analizzandone le motivazioni dal punto di vista del Morone. Contiene inoltre numerosissime informazioni riguardo ad episodi pubblici in fatto di fede accaduti negli anni precedenti la firma e la «conversione» del Morone alla salvezza per grazia degli anni successivi. Si tratta di uno studio molto approfondito di un episodio che contribuì significativamente al passaggio dall’esperienza dell’Accademia alla nascita della comunità dei fratelli.
  • Firpo Massimo – Marcatto Dario, Il primo processo inquisitoriale contro il Cardinale Giovanni Morone (1552-53), in Rivista Storica Italiana, Vol. XCIII, pagg. 71-142, 1981
    L’articolo, apparso sulla Rivista Storica Italiana, ripercorre le tappe del processo al Morone, soprattutto le motivazioni politiche che spinsero il Carafa, una volta divenuto papa, ad inquisire uno dei più stimati cardinali dell’epoca. Particolare attenzione è riservata anche alla fase preparatoria di raccolta delle testimonianze. Viene messa così in luce la lotta intestina alla chiesa cattolica tra gli intransigenti e gli spirituali.
  • Frazzoli Valter, Così lontane, così vicine. Appunti, note e osservazioni sulle cronache modenesi di Tommasino de’ Bianchi detto de’ Lancellotti (1503-1554), Elis Colombini, Modena, Novembre 2004
    Il libro riassume e suddivide per temi le cronache di Tommasino Bianchi, detto de’ Lancellotti, borghese in ascesa che, interessato alla vita pubblica cittadina, annotò per un periodo lunghissimo, dal 1503 al dicembre del 1554, gli avvenimenti più interessanti avvenuti a Modena.
    In questo modo, viene offerto uno spaccato sia della vita quotidiana della città nella prima metà del Cinquecento (dai costumi ai mestieri, dalle feste ai problemi economici), sia dei grandi eventi storici come vennero conosciuti e vissuti dai modenesi.
    Alcuni capitoli sono dedicati anche alle questioni religiose. In particolare nella sezione I grandi eventi, i capitoli 6.2 («…mi spiacciono maximamente li otiosi, li ignoranti, & li hippocriti…», pagg.303-311) e 6.3 («…li 41 capituli…», pagg.311-317) sono dedicati all’eterodossia a Modena.
  • Peyronel Susanna, Speranze e crisi nel Cinquecento Modenese. Tensioni religiose e vita cittadina ai tempi di Giovanni Morone, Franco Angeli Editore, Milano, 1979
    Il libro fa un’analisi accurata dell’aspettativa di riforme religiose nella Modena del primo Cinquecento, analizzando sia i problemi posti, sia il tentativo di riforme attuate nel primo vescovato di Morone.Si analizzano i rapporti tra cittadinanza e chiesa, la gestione del Capitolo e l’attribuzione dei benefici ecclesiastici, la situazione dei conventi femminili e l’importanza della predicazione.Viene messo in particolare rilievo la difficoltà sia dell’autorità religiosa, sia di quella politica di ridefinire in ogni ambito i confini del proprio potere e di farlo rispettare nel proprio ambito.Nell’ultimo capitolo, viene presentata la prima fase del movimento eterodosso modenese ed in particolare l’Accademia del Grillenzoni.
  • Roncaccia Alberto, Ludovico Castelvetro e Filippo Valentini in due sonetti di corrispondenza, in Italique, 5, Ginevra, 2002
    L’articolo analizza una corrispondenza in forma di due sonetti di argomento religioso tra Ludovico Castelvetro e Filippo Valentini.
  • Rotondò Antonio, Atteggiamenti della vita morale italiana del Cinquecento. La pratica nicomeditica, in Rivista Storica Italiana, LXXIX, pagg. 991-1030, 1967
    L’articolo analizza la pratica nicomeditica tra gli eterodossi italiani del Cinquecento e il dibattito correlato. Nelle pagine 1023-1030, si analizzano la situazione e gli atteggiamenti di alcuni eterodossi modenesi.
  • Stenbock Evelyn, Italy. The land of searching hearts. The story of Arthur and Erma Wiens and the need for the gospel in Italy, Christian Focus Publications, Great Britain, 2000
    Si tratta della biografia dei coniugi Arthur ed Erma Wiens, missionari americani, che nel dopoguerra hanno contribuito alla nascita e all’espansione della chiesa evangelica modenese, attraverso la testimonianza diretta, corsi biblici per corrispondenza, calendari, pubblicazioni per bambini e trasmissioni radiofoniche. Il libro, nel seguire la loro storia, fornisce molte indicazioni interessanti sulla crescita e le attività della chiesa «dei fratelli» che attualmente si riunisce in via Di Vittorio.
    Il testo (fuori stampa) è edito da una casa editrice cristiana inglese ed è disponibile solo in lingua originale.
  • Trenti Giuseppe, I processi del tribunale dell’Inquisizione di Modena. Inventario generale analitico (1489-1784), Aedes muratoriana, Modena, 2003
    Questo volume è fondamentale se si vuole accedere all’Archivio dell’Inquisizione di Modena ed è stato redatto dal dott. Trenti che n’è stato l’archivista per decenni. Si tratta dell’indice analitico delle cause aperte, con la catalogazione anche delle imputazioni, del luogo dove è stato commesso il reato, indicazioni di sentenza e di eventuale applicazione della tortura. Oltre alla suddivisione per buste, sono riportate anche l’indice degli inquisiti e dei luoghi, nonché un’appendice con altre informazioni.
    Molto interessante anche il capitolo introduttivo sulla storia dell’Inquisizione a Modena e del Fondo.
  • Valentini Filippo, Il principe fanciullo. Trattato inedito dedicato a Renata ed Ercole II d’Este (Introduzione e note a cura di Lucia Felici), Olschki, Firenze, 2000
    Il trattato, rimasto inedito, di Filippo Valentini fu presentato al duca Ercole II d’Este e a sua moglie, Renata di Francia (nota calvinista). In questo testo, l’accademico illustrava il percorso educativo, dai cinque anni alla maturità, che, a suo parere, avrebbe dovuto formare il futuro sovrano.Figura centrale del libro era il «governatore», cioè il precettore. Persona di elevate qualità morali, ispirato e sorretto da Dio, egli doveva, attraverso un esempio e una dedizione costante, formare un buon sovrano e quindi rendere un grande servizio allo Stato.
    Attraverso una disamina dei vari aspetti dell’educazione e dei metodi per porla in atto, venivano messe in luce alcune virtù fondamentali, che il giovane principe doveva acquisire. Per quanto riguardava l’educazione religiosa, la proposta del trattato risentiva chiaramente delle idee riformate del suo autore. Alla struttura salvifica della chiesa romana si sostituiva la sola fede nel sacrificio di Cristo, che più volte tornava nell’opera. Il testo delineava insomma un progetto politico abbastanza chiaro, in cui, attraverso l’educazione alla virtù del giovane sovrano, si sarebbe dovuti giungere al miglioramento dello Stato stesso, fondandolo sulla pace e la giustizia. L’educazione religiosa, d’ispirazione protestante, avrebbe dovuto portare all’attuazione dell’auspicata riforma. La prospettiva da cui muoveva il Valentini era umanistica, nell’idea di poter realizzare una società più razionale e orientare il corso della storia attraverso l’educazione. Il trattato si poneva, quindi, come un testo di impegno civile e religioso.
    La lunghissima introduzione (oltre 150 pagine) di Lucia Felici costituisce una vera e propria biografia del Valentini con parecchie informazioni molto interessanti.

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1533 – 1571

STORIA ANTICA, 1533 – 1571

1533

Morone può prendere possesso della diocesi

Nel 1527, alla morte del vescovo di Modena Ercole Rangoni, Alfonso d’Este non si fece scrupolo di candidare al posto suo figlio Ippolito II, già arcivescovo di Milano. Clemente VII, preoccupato dell’eccessivo potere del duca di Ferrara, nominò Pirro Gonzaga, il quale morì nel 1529, senza essere mai riuscito a prendere possesso della diocesi.

Clemente VII allora la diede al ventenne Giovanni Morone, figlio del cancelliere milanese Gerolamo. Ricevuto l’incarico, per prima cosa il giovane si fece nominare vescovo a Bologna, ma non riuscì tuttavia ad ottenere la diocesi subito per l’opposizione estense. Si trovò così costretto a negoziare un accordo con il duca di Ferrara. Nel novembre del 1531, il Morone dovette concedere una pensione all’arcivescovo Ippolito, rinunciare ai frutti del vescovato, incassati dal duca, e accettare il permanere del vicario Domenico Sigibaldi da Tortona, fedele agli Estensi. Le condizioni erano dure, ma gli permettevano di entrare finalmente a Modena il 28 gennaio 1533.

1536

I Conservatori decidono di finanziare una cattedra di greco

Dietro richiesta degli intellettuali, il Comune decise il 14 gennaio del 1536 di finanziare una lettura di greco. In cambio di un compenso di 10 lire al mese, venne dato incarico a Francesco Porto da Creta di tener lezione tutte le sere al palazzo comunale, nella camera dei notai.

Il circolo culturale, che si formò così in maniera spontanea, in analogia con quanto accadeva anche in altre città, iniziò ad essere identificato con l’appellativo di «Accademia del Grillenzoni».

Il desiderio di studio critico delle fonti, unito all’interesse per i dibattiti d’attualità, spinsero ben presto gli accademici ad affrontare le Scritture e i testi protestanti. Il metodo di pubblica lettura e libera discussione, collaudato per i classici, si adattava proficuamente all’analisi della Bibbia.

Nonostante lo scopo dichiarato fosse lo studio, l’Accademia non era un circolo d’élite chiuso in sé stesso. Al contrario, i suoi membri partecipavano attivamente alla vita cittadina sia nell’amministrazione, sia nelle professioni e nel commercio. Potevano contare anche sull’appoggio di qualche membro delle casate nobiliari, quali i Rangoni, anche se questi non ebbero un ruolo paragonabile a quella di Renata di Francia a Ferrara.

1537

Don Serafino da Fermo denuncia come eretico il «Sommario della Santa Scrittura»

Nell’autunno del 1537, venne diffuso anche a Modena, per opera del libraio Antonio Gadaldino, «El Summario della Sancta Scriptura», un libretto in 31 capitoli, di 96 carte in quarto, senza autore, né stampatore, né data. Il testo, che divenne uno delle opere classiche della Riforma italiana, aveva la forma di manuale di vita cristiana, rivolto a tutti, ma soprattutto ai laici. In esso, infatti, era forte la polemica contro il formalismo ecclesiastico, mentre la vita quotidiana dei lavoratori veniva considerata la più cristiana possibile. In una città, in cui i fermenti anticlericali erano forti, il libretto ebbe un grande successo e si era diffuso tanto fra i religiosi che fra i laici, fra i simpatizzanti della riforma che i cattolici di sicura ortodossia, come il cronista.

Sennonché in dicembre il canonico regolare Serafino da Fermo, avutane una copia dalla contessa Lucrezia Pico Rangoni, vedova del conte Claudio, lo lesse con attenzione e ne notò subito il carattere sospetto. Qualche giorno dopo, l’11 dicembre, predicando in duomo per l’Avvento denunciò la natura eretica del libretto e se la prese con una setta «como luterana» a Modena, con evidente riferimento all’Accademia. Nei giorni successivi, don Serafino intimò la consegna all’inquisitore di S. Domenico di tutte le copie.

1538

Parodia di don Serafino durante una festa di nozze in casa di Niccolò Machella.

Nella notte tra il 16 e il 17 febbraio, si tenne in casa di Nicolò Machella la festa di nozze della figlia con Francesco Camurana. Durante il banchetto, tre trombettieri mascherati, scimmiottando il modo di leggere le grida dell’epoca, vituperarono don Serafino,che un paio di mesi prima aveva tenuto una dura predica contro El Summario della Sancta Scriptura.

Presenti alle nozze vi erano le persone più illustri dell’Accademia: oltre naturalmente allo sposo e al suocero, c’erano fra gli altri Giovanni Bertari, alcuni fratelli Grillenzoni, Filippo Valentini, Francesco Porto, Ludovico Castelvetro e Camillo Molza.

A seguito della parodia di don Serafino alle nozze in casa Machella, «scrite molto deshoneste» furono attaccate per tutti i cantoni della città fino ad arrivare sulle colonne del duomo e alle porte dei conventi. La contessa Rangoni si lamentò presso il governatore, il quale, dopo aver espresso l’intenzione di far impiccare un paio di persone, il 4 marzo arrestò il Bertari e il precettore di casa Machella. Il primo aprile i due prigionieri vennero liberati «senza rumore».

1539

Il francescano Antonio da Castellina predica in duomo

Tra il 25 e il 28 maggio 1539, il francescano Antonio da Castellina dei Minori conventuali di Bologna tenne in duomo tre prediche che riscossero grandissimo successo, citando Paolo e Sant’Agostino. Senonché una lettera anonima lo accusava di essere luterano.

Il giorno dopo, forte dei consensi ricevuti, rivendicò dal pulpito di non essere eretico, ma un buon cristiano, che aveva detto la verità «secondo la Sacra Scriptura». Per tutta risposta venne citato a comparire dall’inquisitore con l’accusa non solo di luteranesimo, ma anche di erasmianesimo.

1540

Don Girolamo Teggia arriva a Modena

Dopo aver propagandato idee eterodosse presso la pieve di San Giacomo Cremonese, don Girolamo Teggia giunse a Modena. Fu accolto da Lucrezia Rangoni come precettore per il figlio Fulvio e legò subito con gli accademici.

Nell’ottobre del 1540, fu arrestato, sempre per luteranesimo, Camillo Renato, che si nascondeva sotto lo pseudonimo di Lisia Fileno nella villa di Anna Carandini alla Staggia nel nonantolano e diffondeva dottrine eterodosse, commentando privatamente le epistole di Paolo. Filippo Valentini, Bertari e Machella intervennero in suo favore presso il vicario affinché la sua causa non fosse lasciata completamente nelle mani dell’inquisitore.

1541

Bernardino Ochino predica in duomo

A seguito di un breve papale che autorizzava la predicazione solo in duomo per la città di Modena, in assenza del vescovo, il vicario Sigibaldi, era investito dell’autorità di verificare l’ortodossia dei predicatori. Per la quaresima concesse il pulpito del duomo a Bernardino da Siena, detto l’Ochino, mettendo tutti d’accordo.

Così, il 28 febbraio 1541, Modena sembrò ritrovare per un giorno l’armonia religiosa, tanto che il vicario era convinto che sarebbero state presto estirpate le eresie, se si fosse fatto predicare più spesso il cappuccino senese. L’entusiasmo degli accademici avrebbe però dovuto insospettirlo e, infatti, la clamorosa fuga in terra riformata dell’Ochino l’anno seguente avrebbe evidenziato la totale impreparazione del Sigibaldi al gravoso compito che gli era stato affidato.

I Domenicani iniziano la lettura delle lettere di Paolo

Allarmati però dalle aperte manifestazioni di eterodossia in città, i domenicani pensarono che fosse ora di passare al contrattacco in maniera propositiva, non più solo difensiva.

Il 25 marzo, iniziarono a commentare in San Domenico le lettere di Paolo, in modo da non lasciarne l’esclusiva agli eterodossi. La mossa fu azzeccata e le letture incontrarono un grande successo, dimostrando ulteriormente il bisogno dei modenesi di approfondire i temi religiosi allora d’attualità.

Tuttavia, gli animi, in fatto di questioni religiose, erano molto surriscaldati e si iniziò a mormorare che persino il lettore di San Domenico, fra’ Bartolomeo della Mirandola, fosse luterano, perciò alla fine lo si dovette allontanare dal monastero.

Viene avviato un processo inquisitoriale contro il Bertari

L’inquisitore decise, tra le ormai consuete proteste, di avviare un processo contro il Bertari, che, ignorando ogni ammonizione, aveva continuato le sue letture davanti ad un pubblico crescente (pare che si arrivò addirittura a 400 persone presenti) e aveva rilasciato dichiarazioni sempre più audaci, attaccando voti, digiuni e la validità delle preghiere non intese.

Il prete si recò a Roma, sperando di poter far valere le sue autorevoli protezioni, ma dopo pochi giorni arrivò la sua scomunica. Si aprì un vero proprio conflitto tra i domenicani e i canonici, che, guidati da Bonifacio Valentini, decisero di difenderlo apertamente. La polemica arrivò a coinvolgere tutta la città e a toccare anche la figura del Morone, che aveva sempre mostrato di stimare il Bertari. Si era ormai venuto a formare un fronte eterodosso compatto tra gli accademici e i discepoli dell’inquisito, di cui facevano parte anche parecchie donne.

Si avviò ad una conclusione la spinosa vicenda del Bertari, che venne obbligato a una pubblica abiura. Appena riabilitato, riuscì tuttavia a trovare chi richiedesse a gran voce i suoi servizi. Si trattavano delle monache agostiniane del convento di San Paolo. Questo era stato, infatti, l’unico convento femminile cittadino, in cui i temi della riforma avevano in qualche modo fatto breccia e v’era stato un parziale risveglio spirituale. Il Morone non trovò nulla da ridire nella sospetta richiesta delle monache e in breve il prete venne nominato confessore del monastero.

Gregorio Cortese viene incaricato da Paolo III di indagare la presenza di eresie nella città di Modena

Nel mese di ottobre Paolo III incaricò l’abate benedettino di Mantova, il modenese Gregorio Cortese, di indagare la situazione in relazione al diffondersi di dottrine luterane. Giunto in città, però, il frate si ammalò e non poté quindi fare molto.

1542

Il Morone rientra a Modena

Il 7 maggio del 1542, riuscì finalmente a tornare nella sua diocesi il Morone. Egli aveva una panoramica chiara dei problemi che avrebbe dovuto affrontare, dei diversi soggetti coinvolti e delle loro posizioni, grazie alla corrispondenza quotidiana che aveva tenuto con il suo vicario. Quindi, tutt’altro che colto di sorpresa, aveva già una sua strategia definita, nel tentativo di attuare in loco quell’accordo con la controparte protestante, che gli spirituali non erano riusciti ad ottenere in Germania.

L’idea del Morone era di concordare una confessione di fede, su cui tutte le parti in causa potessero convenire. Convocò in maniera informale il Teggia e il Bertari e, verificato che dietro alle scuse ed alle reticenze vaghe, si professavano in realtà dottrine eterodosse, li invitò a scrivere una dichiarazione di fede segreta.

Si trovò però di fronte fin da subito ad una forte resistenza, motivata con la falsa modestia di non riuscire a stenderla e la paura di vederla usare in futuro contro loro stessi per la malignità di «falsi testimoni».

Il Morone chiede aiuto al Contarini nella sua trattativa con l’Accademia

Il 21 maggio, Morone scrisse, al Contarini, legato di Bologna, esponente di spicco del gruppo degli spirituali, per chiedergli aiuto nella trattativa con gli accademici. Già il giorno seguente, ricevette la disponibilità del cardinale, che venne così coinvolto a tutti gli effetti come co-autore nella ricerca di un accordo.

Oltre agli obbiettivi religiosi e politici, i due prelati avevano in comune anche un altro interesse: l’accademico Filippo Valentini, trasferitosi a marzo presso il vescovo bolognese e sposato ad una nipote del cardinale Sadoleto, imparentato a sua volta con il Contarini stesso. Insomma, alla storia universale della chiesa, si sovrapponevano vicende più private e interessi familiari locali.

Morone si reca a Bologna per incontrare il Contarini

Impegnato nella estenuante trattativa con gli eterodossi alla ricerca di un testo da sottoscrivere, il Morone si recò a Bologna per parlare personalmente con il Contarini, che gli aveva già garantito il suo appoggio nella questione. L’effetto di quel colloquio fu l’impegno del legato bolognese a redigere un testo ad hoc per risolvere il problema modenese.

Il cardinale modenese Sadoleto, pur lontano dalle posizioni del gruppo degli spirituali, prese l’autonoma iniziativa di scrivere agli accademici, mettendoli al corrente della cattiva fama che si erano acquisiti e garantendo loro la propria protezione, a patto che cessassero ogni comportamento sospetto.

Viene recapitato a Modena il «Formulario di fede» redatto dal Contarini

Il 14 giugno, mentre il Sadoleto discuteva in concistoro il “caso Modena”, il testo redatto dal Contarini veniva recapitato a Modena.

Lo scritto del Contarini aveva l’aspetto semplice di un formulario, diviso in 41 articoli. Non era polemico ed evitava le contrapposizioni nette, perché mirava a fornire risposte accettabili alla controparte, al punto da essere persino elusivo nella questioni scottanti.

Era soprattutto un tentativo di evidenziare la compatibilità della dottrina della giustificazione con l’impianto sacramentale, liturgico e gerarchico della chiesa cattolica. Infatti, il legato bolognese riteneva (e di lì a poco l’avrebbe dichiarato in maniera esplicita) che il fondamento della teologia luterana fosse vero e cristiano; come tale la chiesa di Roma avrebbe dovuto accettarlo. A suo avviso, l’osservanza delle cerimonie ecclesiastiche era necessaria, ma non garantiva la remissione dei peccati, che si poteva ottenere per mezzo di Cristo.

Nel testo da lui redatto non vi era alcun articolo dedicato in maniera specifica al problema della giustificazione, ma la sua interpretazione della «duplex iustitia per fidem et charitatem» lo permeava implicitamente. Sulle preghiere non intese, affermava che esse fossero valide per l’intenzione dell’anima, ma non utili come quelle intese. L’eucarestia era definita nutrimento spirituale dell’anima, ma sottolineava anche l’importanza della disposizione di fede del comunicante. Il valore della messa consisteva nel sacrificio di lode e nel ricordo dell’unico sacrificio di Cristo, ma anche nell’offerta, con la quale i credenti offrono Cristo e la sua passione. E così via, sulla confessione, il purgatorio, l’invocazione dei santi, cercando di spuntare i punti critici e di permettere, quanto più possibile, ai destinatari dello scritto di ritrovarcisi.
Il Contarini tralasciò di addentrarsi sul problema della predestinazione, nonostante il Morone glielo avesse chiesto esplicitamente.

Il Sadoleto riferisce in concistoro sulla situazione modenese

A seguito della sua missiva agli accademici, il cardinale Sadoleto ricevette le risposte di Ludovico Castelvetro, Alessandro Milani, Giovanni Grillenzoni e Francesco Porto, troppo simili fra loro per non essere concordate. Con caute reticenze, tutti tentavano di attribuire alla malignità di alcuni frati e alla confusione delle loro posizioni con quelle di alcuni «plebei» ignoranti le dicerie sul loro conto, mentre loro si occupavano solo degli studi.

Il 14 giugno, mentre il testo redatto dal Contarini veniva recapitato a Modena, il Sadoleto riferiva in concistoro. Il giorno seguente si rivolse di nuovo agli accademici, chiedendo che scrivessero a Roma e indicando il contenuto che avrebbero dovuto avere le loro lettere. Si trattava, in sostanza, di far apporre la loro firma sotto una dichiarazione di fedeltà alla chiesa cattolica e alle sue dottrine, finendo per convergere sull’idea iniziale del Morone.

Morone ottiene con un breve papale l’autorizzazione a procedere contro gli eretici, ma anche ad assolvere in via extragiudiziale

Nel tentativo di costringere gli eterodossi a firmare una sottoscrizione di fede, il 22 maggio 1542, Morone scrisse a Roma chiedendo sia di poter punire i colpevoli di eresia, sia di poter assolverli in via extra-giudiziaria. Con un breve del 23 giugno, gli venivano concesse entrambe le facoltà.

Tuttavia, in seguito non volle utilizzarle. D’altra parte, già nel 1540, in una sua famosa missiva da Gand, si era espresso contro l’uso di mezzi violenti, a suo parere utili «più tosto estinguere gli huomini che le heresie», anche perché «la religione non par da principio si convenga essere trattata per via di guerra».

Quindi, con questa mossa, forse intendeva solo sollecitare una moderata pressione sui dissidenti o verificare per sé stesso tutte le carte a sua disposizione.

Paolo III emana la bolla «Licet ab initio» per riorganizzare l’inquisizione sul modello di quella spagnola

A seguito dell’allontanamento dalla curia del Contarini, il partito intransigente, guidato dal Burgos, dal Cervini e soprattutto dal Carafa, preparò una svolta politica a proprio favore e riuscì ad indurre Paolo III ad emmettere la Bolla «Licet ab initio». Con essa venne riorganizzata l’Inquisizione sul modello di quella spagnola, dandole così l’incisività, che nei decenni successivi le avrebbero permesso di sradicare ogni eterodossia dal territorio italiano. A seguito della bolla «Licet ab initio», tra gli eterodossi si era diffuso il panico e, il 28 luglio, Francesco Porto si allontanò da Modena con la scusa di andare a trovare il padre malato.

Sadoleto arriva a Modena con l’incarico da parte del papa di concludere la vicenda del «Formulario di fede»

In estate, a seguito del mutare del clima politico a Roma, il gruppo degli spirituali rischiò di venirsi a trovare a sua volta in una posizione pericolosa. Temendo che la mediazione con gli accademici potesse ritorcersi contro loro stessi, Morone e Contarini decisero, quindi, di inviare al papa il «Formulario di fede», accompagnato da una lunga relazione apologetica sulla vicenda, e di attendendere la sua decisione per procedere.

Il papa autorizzò a procedere con il «Formulario di fede», ma affidò al Sadoleto l’incarico di portare a termine la vicenda. Il 30 agosto, il cardinale arrivò in città, dove innanzitutto incontrò il Morone e il Cortese. Poi, durante un’ultima estenuante trattativa con gli accademici, riuscì a piegarli alla sottoscrizione, con la minaccia di aprire un processo inquisitoriale.

Alla fine, l’unica cosa che gli eterodossi ottennero fu di vedere controfirmato il formulario anche da altri autorevoli cittadini di sicura ortodossia, evitando così che, in futuro, potesse essere trasformato in una lista di sospetti relapsi.

Riunione del Consiglio cittadino per presentare il «Formulario di fede»

Dopo estenuanti trattative durate tutta l’estate, il 1 settembre 1542, si giunse alla riunione in pompa magna del Consiglio cittadino, in cui venne presentato ufficialmente il «Formulario di fede», sotto il segno dell’autorità papale.

Si trattava, senza alcuna modifica, del testo del Contarini, tranne la formula finale, scelta probabilmente dal Sadoleto, che rendeva più esplicita la sottomissione all’autorità della chiesa: «Io dunque approvo tutti questi articoli e ritengo che debbano essere approvati, sottomettendomi quindi sempre a questi e a tutti gli altri secondo il giudizio della santa chiesa cattolica romana». A nome del Sadoleto, del Morone e del Cortese si invitava ad approvarli e i Conservatori disposero che fossero obbligati a firmare tutti coloro a cui fosse stato richiesto.

I primi ad apporvi il proprio nome furono i tre cardinali. Mentre il Sadoleto ripartiva per la Francia, iniziarono le sottoscrizioni nell’ordine: Sigibaldi, Cassiodoro da Novara (abate del monastero benedettino di San Pietro), Andrea Civolini (arciprete della cattedrale), Bonifacio Valentini, Lorenzo Bergomozzi, Teofilo dal Forno e Andrea Codebò (canonici oggetto di gravi sospetti), Pellegrino degli Erri e Gabriele Falloppia (membri dell’Accademia), otto Conservatori, il Sindaco generale della Comunità, Giovanni Niccolò Fiordibello (padre di Antonio, segretario del cardinale Sadoleto), Alfonso Sadoleto (fratello del cardinale), il conte Gaspare Rangoni, Francesco ed Agostino Bellencini, Ludovico Castelvetro, Filippo Valentini, Francesco e Bartolomeo Grillenzoni.

Francesco Porto torna a Modena

Il 10 settembre il Porto rientrò a Modena. Il Morone non lo voleva ammettere alla firma, a causa dei sospetti particolarmente gravi sul suo conto, ma poi, dopo l’intervento a suo favore dei Conservatori, del governatore Francesco Villa e forse persino del duca, anche il suo nome apparve a sigillo del documento.

Alla fine, in calce al formulario, furono poste 44 firme, in cui quelle di tre cardinali si mischiavano ad autorevoli cittadini e ad una ventina di sospetti eretici. Va notato, però, che tra i sospetti eterodossi conosciuti alle cronache, mancano all’appello Marco Caula e Francesco Sighizzi, Francesco Milani, Cesare Bellencini, Bartolomeo Carandini e Camillo Molza, Antonio Caverdino, Gaspare de Ferrari, Ercole Rangoni e il librario Antonio Gabaldino. Queste firme mancanti confermano, oltre alle modalità con cui si era giunti all’approvazione del formulario, che la strategia del Morone non era riuscita a riassorbire il dissenso.

Riprendono le lezioni di greco in Comune

Dopo la conclusione della vicenda del «Formulario di fede», l’11 settembre il Porto affisse, fuori dalla colonna del palazzo comunale, l’avviso che il 2 ottobre avrebbe ripreso le lezioni di greco e, puntualmente, questo avvenne, con più pubblico del solito, con forte irritazione dei cattolici tradizionalisti.

1543

Si stabilisce a Modena Bartolomeo Fonzio

Dopo un lunghissimo pellegrinaggio che, a seguito dell’apertura di un processo inquisitoriale già nel 1531 da parte del Carafa, lo aveva portato a girare mezza Europa, nel 1543 era giunto a Modena il minore conventuale Bartolomeo Fonzio.

Portò in città la propria teologia radicale, predicando che gli eletti erano salvi senza battesimo e le liturgie della chiesa solo presunzione umana, perché la vera chiesa era quella dei poveri, sconosciuti al mondo. La chiesa dei pontefici poteva errare e il voto di castità non era obbligatorio. L’acqua, di cui parlava Cristo in Giovanni 3:5, era da intendersi solo in senso spirituale e l’estrema conversione del peccatore solo utopia.

1544

Primi incontri segreti degli eterodossi in casa Camurana per leggere il Vangelo

Costretta al silenzio dalle grida emesse dal duca, l’Accademia del Grillenzoni dovette rinunciare al tentativo di riformare direttamente la fede comune della città e la testimonianza pubblica andò attenuandosi, fino a scomparire.

Tuttavia, ciò non significò la scomparsa del movimento eterodosso, perché in tanti non erano disporsi a rinunciare alla nuova fede. Preso atto che non vi erano più margini di discussione all’interno della chiesa cattolica, iniziarono a riunirsi segretamente nelle case e nelle botteghe, per leggere insieme la Scrittura e «ragionare».

Secondo le testimonianze, questi incontri risalivano già al 1544 e diventarono sempre più organizzati nel tempo: i piccoli gruppi, aggregatisi nella seconda metà degli anni Quaranta, si strutturarono meglio nel ventennio successivo, specialmente dalla fine degli anni Cinquanta. Con il tempo, prendeva fisionomia una comunità di base semplice, ma con caratteristiche abbastanza definite, di orientamento zwigiano-calvinista.

Predica di Bartolomeo della Pergola in duomo

Invitato dal Morone, il quale probabilmente gli aveva anche indicato quali temi trattare, il frate minore conventuale Bartolomeo Golfi della Pergola predicò in duomo il 27 febbraio 1544, primo giorno di quaresima. Vista la fama del predicatore, la chiesa era gremita.

Il maggiore interesse del Pergola riguardò ovviamente la salvezza. In modo particolare, egli sostenne che le opere fatte per il proprio interesse personale erano idoli e come tali dannavano l’anima. Pertanto, riteneva che le opere umane non meritassero niente e i precetti di Dio fossero impossibili da osservare. Confidare nelle opere significava offendere Cristo, stimando insufficiente la sua morte. Era una «pazzia» che i predicatori incutessero il terrore del giudizio divino dal pulpito, dal momento che si era redenti dal sangue del Signore.

Anche l’interpretazione della predestinazione era molto stretta nel Pergola, al punto da affermare che agli eletti non sarebbe stato imputato peccato. La predestinazione non si poteva perdere: il giusto non poteva abbandonare la sua giustizia, né il peccatore rinnovarsi per la penitenza. Di conseguenza, il battesimo non aveva alcun valore salvifico e i fanciulli non battezzati, che fossero stati nel numero degli eletti, si salvavano.

Il Pergola non pronunciò il Sancta Maria e l’ora pro nobis. Negò l’invocazione dei santi «astutissimamente», come scrisse l’inquisitore più tardi, attraverso un silenzio molto eloquente. Insistette che Cristo era l’unica via di salvezza ed era sbagliata la concezione di chi temeva di andare a Lui direttamente, perché carico di peccati. Conseguentemente, il Pergola tacque sul purgatorio e sulle intercessioni per i defunti. Tacque anche sul supposto potere della chiesa di legare e sciogliere durante la confessione. Egli sosteneva che la confessione fosse «di diritto divino», ma non fosse indicata un’obbligatorietà temporale e gli uomini avrebbero fatto bene a confessarsi prima di tutto a Dio.

In quanto all’eucarestia, il Pergola stette molto sul vago, ma ciò che disse tendeva a un’interpretazione più simbolica che reale del sacramento. Egli, infatti, affermò che non erano necessarie tante preparazioni, prima di ricevere la comunione, e che bisognava, però, stare attenti a non commettere idolatria nel nominare gli accidenti. Affermò che l’eucarestia era come l’anello dato dallo sposo alla sposa in perpetua memoria del vincolo che li legava.

Alla fine, persino l’istituzione ecclesiastica veniva cautamente criticata, infatti deplorò apertamente le «tradizioni umane», sottintendendo, senza nominarle, quelle della chiesa. Sul digiuno affermò che, pur dovendo tenere conto delle indicazioni delle autorità ecclesiastiche, non era obbligatorio. Anche le elemosine non erano a suo giudizio vincolanti. Condannò la pompa funebre, sostenendo che era meglio dar le candele ai poveri, invece di accenderle in chiesa. Riprese l’oziosità di preti e monaci. Altrettanto libero si sentiva il Pergola di contrapporre la sua interpretazione della Scrittura rispetto a quella di alcuni padri della chiesa.

Ribadì il primato dello spirito sulla carne. Tutte le religioni, a suo avviso, erano carnali, mirando alla mortificazione della carne e non dello spirito.

Pubblica ritrattazione di Bartolomeo della Pergola in duomo

A seguito della predica tenuta in duomo da Bartolomeo della Pergola, vi furono parecchie polemiche sulla sua ortodossia.

Il duca Ercole II, con una lettera datata 4 giugno, fece muovere l’ambasciatore presso il papa, probabilmente sia per dimostrare buona volontà nell’estirpare l’eresia, sia preoccupato per le ripercussioni sull’ordine pubblico, che i contrasti di ordine religioso provocavano sul territorio. A quel punto, però, anche i domenicani dell’Inquisizione avevano iniziato ad esaminare il caso. Il loro intervento non poteva passare sul Pergola senza coinvolgere il Morone, il quale da molte parti era considerato corresponsabile di quello che il frate aveva predicato. Perciò, pur dichiarando ufficialmente il suo desiderio che l’Inquisizione cittadina procedesse, di fatto cercò di scavalcarla.

La vicenda, oltrepassate le mura cittadine, aveva portato dopo Pasqua all’apertura di un processo anche da parte dell’Inquisizione romana. I rapporti tra il cardinale e il frate divennero tesi. Il Morone probabilmente era irritato dal modo poco cauto di procedere del Pergola, ma doveva risolvere il problemi di questi, se non voleva finirvi travolto anche lui.
La soluzione, infine, adottata dal Morone fu quella di far pronunciare, il 15 e 16 giugno, al frate sospetto una pubblica ritrattazione degli articoli imputategli, il cui contenuto non fu concordato, ma imposto dal cardinale.

Il frate tornò quindi sul pulpito a Modena domenica 15 giugno. Più di tremila persone accorsero più per curiosità. Non solo nelle dimensioni, ma anche nella sua composizione, il pubblico era quello delle grandi occasioni.

La cronaca descrive il Pergola evidentemente corrucciato e con la voce roca, quasi tremolante, più turbato che pentito. Forse il frate, pur consapevole di doversi piegare, non riuscì a farlo fino in fondo e pare che predicasse addirittura “con più audiatia di prima”. Cercò infatti di non ritrattare direttamente fin dove gli fosse possibile, di puntualizzare alcuni aspetti e in alcuni casi di ribadire le sue idee. Il suo intento era quello di dimostrare di non essere eretico, ma fu probabilmente costretto a rimangiarsi più parole di quante avesse voluto. Attuò insomma una sorte di “nicodemismo dal pulpito”, pratica che negli anni successivi si sarebbe diffusa man mano che i margini di libertà si sarebbero ridotti.

1545

Bartolomeo Fonzio e Tommaso Bavellino devono fuggire da Modena a causa dell’apertura di un processo inquisitoriale a loro carico a Ferrara

Avendo portato in città predicazioni così radicali da non passare inosservate, fu aperto contro Bartolomeo Fonzio e Tommaso Bavellino un processo inquisitoriale contro di loro a Ferrara nell’autunno ‘45. I due fuggirono da Modena.

Grida di Ercole III che impongono il silenzio in materia religiosa

Il 24 maggio del 1545, i cattolici tradizionalisti, sostenuti da Roma, riuscirono ad indurre il duca Ercole II ad emettere grida per imporre il silenzio in questioni di fede, minacciando pene severissime «contra ale persone maldicente della ordinatione della S.ta Giesa appostolica romana». Entro la fine di giugno, tutti i libri eretici dovevano essere bruciati. I trasgressori sarebbero stati puniti con multe, la corda, il bando o il rogo, a seconda della gravità e dell’eventuale reiterazione del reato.
Gli effetti sperati furono immediati e, già dal giorno stesso, molti non si presentarono alla consueta riunione, davanti alla spezieria di uno dei fratelli Grillenzoni.

Tentativo di arresto di Filippo Valentini

Il duca Ercole II finì per cedere alla richiesta del papa di arrestare Filippo Valentini, definito «iniquitatis filius». Ma, quando le guardie, nella notte tra il 4 e 5 giugno, entrarono con la forza in casa sua, questi, probabilmente avvertito in tempo da qualcuno, era già fuggito in campagna.
Francesco Bellencini, Carlo Codebò, G.B.Tassoni e G. Calora spinsero i Conservatori ad intervenire presso il duca, mentre, tra luglio e settembre, il Valentini veniva riconfermato nel Consiglio cittadino, per rendere manifesta la loro solidarietà.
Le pressioni dei Conservatori sul duca permisero a Filippo Valentini di rientrare a Modena, pagando solo una cauzione.

1547

Al Concilio di Trento viene pubblicato il decreto sulla giustificazione

Nel gennaio del 1547, arrivò per gli spirituali la sconfitta più dura al Concilio di Trento, dove, nonostante il parere contrario espresso a Paolo III dal Pole, dal Morone, dal Cortese ed dal Crescenzo, si procedette alla pubblicazione del decreto sulla giustificazione.

Con imbarazzo, il cardinale inglese si ritirò alla vigilia dell’approvazione, per non dover sigillare il documento. Il Morone commentò deluso: «Io servarò quanto hanno determinato, ma l’haveria aspettato questa materia de iustificatione un poco più chiara». Negli anni immediatamente successivi, pare che avesse espresso il desiderio che il Concilio lo ritrattasse.

Quel decreto condannava come eretiche le posizioni degli spirituali, vanificandone, in un colpo solo, l’azione di riforma sia religiosa, sia politica.

1549

Tommaso Bavellino arrestato a Modena

Dopo il processo aperto contro di lui a Modena, il Bavellino tornò a Bologna per entrare in contatto con un altro gruppo eterodosso. Tornò poi nuovamente a Modena, dove venne arrestato per la terza volta il 5 marzo del ‘49. Non si conosce la fine delle sue vicende.

1550

Egidio Foscarari diventa vescovo di Modena

La diffusione dell’eterodossia rendeva la diocesi di Modena di difficile governo ed il Morone si trovava, oltretutto, gravato dall’impossibilità di farvi residenza continuativa. Egli stesso aveva chiesto a più riprese di essere sollevato dall’incarico, per essere sostituito da una personalità di rilievo.

Nel 1550, fu infine accontentato e, al suo posto, subentrò il bolognese Egidio Foscarari, teologo di fama, uomo di costumi irreprensibili e, al contrario del predecessore, di sicura ortodossia. La sua opera fu molto apprezzata in città per l’attenzione alle opere caritatevoli e per le sue missioni pastorali nei confronti delle parrocchie più disagiate, come quelle della montagna.

Anche se totalmente estraneo all’eterodossia, tenne un comportamento molto mite nei confronti dei dissidenti religiosi, improntato più alla ricerca della conciliazione che della repressione. La prassi che seguiva era di chiamare a conversazioni, del tutto informali ed amichevoli, i sospetti. Li interrogava e parlava loro, tentando di chiarire l’eventuale eresia. Li ammoniva e li invitava a un’abiura del tutto segreta in via extragiudiziaria. Registrava questi incontri in un libriccino strettamente privato.

1555

Apertura del processo inquisitoriale contro il Morone

Il Carafa, promotore e guida del Sant’Uffizio romano, considerava gli spirituali, di cui il Pole ed il Morone erano i leader più illustri, non un partito progressista da battere, ma veri e propri eretici che minacciavano di insediarsi al vertice della chiesa cattoica. Convinto che «gli heretici se voleno trattare da heretici», iniziò coerentemente a raccogliere testimonianze contro i due cardinali, interrogando tutti gli sfortunati che incappavano nella macchina dell’Inquisizione.

Divenuto papa nel 1555 con il nome di Paolo IV, poté aprire ufficialmente il processo al cardinal Morone.

Convocazione presso l’inquisizione di Roma di Ludovico Castelvetro, Bonifacio e Filippo Valentini, Antonio Gadaldino

Nel 1553, il poeta Annibal Caro scrisse una canzone in onore dei Valois, «Venite all’ombra de’ gran gigli d’oro», che fu criticata dal Castelvetro. Ne seguì un’aspra polemica che coinvolse man mano parecchi esponenti del mondo culturale italiano e si protrasse per un paio d’anni. Nel 1555, il Longo, un sostenitore del Caro, fu trovato ucciso nelle campagne bolognesi e parte dell’opinione pubblica additò il Castelvetro come mandante del delitto. Questi, in effetti, sarebbe stato successivamente condannato in contumacia alla pena capitale dal tribunale di Bologna, sentenza per altro senza alcun effetto, perché Modena non ricadeva sotto la sua giurisdizione. Nel tempo, gli storici si sono divisi tra innocentisti e colpevolisti senza che si sia detta la parola fine sulla questione.

Certo è che, dopo l’assassinio del Longo, per il Castelvetro iniziarono anche i guai con l’Inquisizione. Difficile stabilire se l’intervento dei domenicani fosse sollecitato dal Caro (o chi per lui) oppure se fosse solo l’effetto del mutare del clima in seno alla chiesa cattolica, a seguito dell’elezione al soglio pontificio del Carafa, fanaticamente deciso a combattere l’eresia con la forza.

Fatto sta che, il 1 ottobre 1555, Paolo IV pubblicò un breve, con cui si citavano a Roma Castelvetro, Antonio Gadaldino, Bonifacio Valentini ed il nipote Filippo. Il duca temporeggiò, a causa della richiesta dei Conservatori di proteggere i cittadini modenesi incriminati, «tenuti persone virtuose e non tali che debbono esser dishonorati a questo modo». Ma, alla fine, il 6 luglio dell’anno successivo dovette cedere alle richieste di Roma, dando istruzioni di pubblicare le citazioni al governatore di Modena, Ercole Contrari, nonostante le proteste ufficiali sia di questi, sia del Consiglio cittadino. Il vescovo di Modena, Foscarari, da parte sua, dimostrò «infinita amorevolezza» al Castelvetro, cercando di confortarlo per la persecuzione che doveva subire. Tutti i citati in giudizio si allontanarono subito dalla città, tranne il Gadaldino.

1557

Arresto di Gadaldino

Unico tra i quattro citati in giudizio a non allontanarsi dalla città, il Gadaldino fu imprigionato maggio del ‘57.

Arresto del Morone, rinchiuso in Castel Sant’Angelo

A due anni dall’apertura ufficiale del processo inquisitoriale, il 31 maggio del 1557, il Carafa fece arrestare e rinchiudere in Castel Sant’Angelo il Morone.

L’indignazione fu generale e il sospetto diffuso che non fossero solo motivazioni religiose, ma anche politiche, a spingere ad un gesto così clamoroso. Il Carafa, infatti, era fortemente filo-francese, mentre, per ragioni di politica interna, gli Asburgo apprezzavano molto il tentativo di conciliazione con i riformati, portato avanti proprio dagli spirituali.

1559

Tre anni dopo, in seguito alla morte di Paolo IV, nel settemre del 1559 il Morone fu liberato.

Nel mese di ottobre dello stesso anno fu processato, il libraio Gadaldino fu infine condannato ad abiurare.

1560

Assoluzione del Morone

Il Morone venne assolto nel marzo del ‘60 da Pio IV. Anche se non era riuscito il tentativo di farlo condannare, il Carafa aveva raggiunto comunque il suo scopo, perché l’immagine del cardinale ne fu talmente danneggiata che non sarebbe mai più stato inserito nella lista dei papabili.

Castelvetro interrogato dall’Inquisizione di Roma

Dopo essere fuggito a seuito della citazione in giudizio da parte dell’Inquisizione, il Castelvetro si decise a presentarsi a Roma nel ‘60, dopo la morte del Carafa.

Qui venne interrogato l’11, il 14 ed il 17 ottobre, ma, quando comprese che l’inquisitore era in possesso della sua traduzione del «De ecclesiae autoritate et de veterum scriptis libellus» di Melantone, si rifugiò all’estero, accompagnato dal fratello.

1562

Bartolomeo Fonzio viene annegato nella laguna veneta

Dopo essere fuggito da Modena, a causa del processo inquisitoriale aperto contro di lui e altre varie vicissitudini, il 4 agosto del 1562, Bartolomeo Fonzio fu affogato nella laguna veneta per essersi rifiutato di abiurare.

1564

Morone torna a essere vescovo di Modena

A seguito della morte del Foscarari, Morone viene rinominato vescovo di Modena nel ‘64.

1566

Elezione di Ghislieri con il nome di Pio V

Nel gennaio del 1566, venne eletto papa Pio V Ghislieri, domenicano intransigente, determinato a usare l’Inquisizione («la verga di ferro») per eliminare definitivamente il movimento eterodosso dalle città italiane.

Convocazione di Giovanni Rangoni da parte dell’inquisizione di Roma

Sul conte Giovanni Rangoni si aprì un fascicolo inquisitoriale già dalla primavera del ‘63. Il conte non sembrava all’inizio esserne eccessivamente preoccupato. D’altronde dichiarava di non aver «paura né d’Inquisitore né d’altro, perché» era «d’un parentado tanto grande che lo deffenderia da chi lo volesse offendere». E, in effetti, all’inizio, il procedimento a suo carico sembrò volgersi in suo favore. L’inquisitore Camillo Campeggio, all’inizio del ‘64 partì per Reggio, in «gran colera», perché non trovava testimonianze definitive sul sospetto, nonostante le voci che circolavano in città.

Il Foscarari non considerava le dicerie sufficienti per un processo e concordò con il conte un’abiura molto generica. «Essendo cosa che si possa dire senza dishonore di Dio et de la nostra fede», il Rangoni pronunciò la ritrattazione. Sembrò essersi così tolto d’impaccio. Smise persino l’atto almeno formale di partecipare alla messa, perché diceva di non voler adorare «un pezzo di pasta per Dio».

Ma, a seguito dell’elezione di papa Pio V Ghislieri, già a marzo, nell’incartamento del Rangoni si aggiunse una nuova testimonianza e, per evitare che la sua famiglia potesse influenzare ulteriormente il tribunale locale, Roma avocò a sé la causa, nonostante a favore del conte intervenisse anche il cardinale Ippolito d’Este.

Fuga da Modena di Maranello, Giovanni Bergomozzi, Graziani, Caula e Biancolini

A seguito della sua convocazione a Roma, il Rangoni fuggì da Modena insieme a Bergomozzi, Caula, Graziani, Biancolini e Maranello, avvertiti di una cattura imminente.

Rangoni scomunicato

Il 7 settembre, il Rangoni fu condannato alla scomunica e alla confisca dei beni. Si rifugiò a Sondrio, dove morì alla fine dell’anno seguente in casa dell’eterodossa Laura Bresella. Forse si riconciliò in punto di morte con la chiesa cattolica per non danneggiare gli eredi.

Pietro Cervia fugge da Modena

A dicembre del ‘66, Pietro Antonio da Cervia riuscì a fuggire, avvisato dalla moglie Laura dell’imminente cattura. Dopo varie peregrinazioni a Parma, Reggio, Borgo e Fiorenzuola, si stabilì a Bologna, dove fu processato nella prima metà del 1567, condannato a morte come relapso e giustiziato in estate.

Maranello, Giovanni Bergomozzi, Graziani, Caula e Biancolini vengono scomunicati

Il 17 dicembre, il governatore Ippolito Turchi ricevette dall’inquisitore la condanna di scomunica contro tutti i cinque restanti fuggitivi, ma fece resistenza alla pubblicazione, attendendo istruzioni dal duca. Graziani, Biancolini e Bergomozzi si rifugiarono in Svizzera. Dei primi due non si consce la sorte, mentre l’ultimo fu scomunicato anche dalla comunità riformata, a causa delle sue idee radicali, e fu successivamente riammesso, grazie alla mediazione del pastore Alessandro Trissino, esule egli stesso.

1567

Processo al Maranello

Nel gennaio del ‘67, si tenne il processo al Maranello, dopo che era tornato in città per costituirsi. Fu condannato alla prigione perpetua e a pagare una somma per i poveri.

Condanna a morte di Marco Magnavacca

A febbraio, si concluse con la condanna a morte il processo a Marco Magnavacca. Nonostante la supplica della comunità al duca, egli fu impiccato ed il cadavere arso. A chi derideva la sua sorte, il medico Curione ribatteva che «era andato in paradiso dritto come fece il ladrone».

Breve di Pio V che concede l’indulto a chi si presenta spontaneamente all’inquisitore

Il colpo di grazia alla comunità eterodossa arrivò il 10 febbraio 1568, con un breve di Pio V che concedeva l’indulto a chi si fosse presentato spontaneamente all’inquisitore, confessando i propri errori e, soprattutto, fornendo i nomi dei complici. Nei due mesi successivi, in molti si presentarono spontaneamente per abiurare davanti al Morone. Bartolomea della Porta, Giulio Abbati, Francesco Caldano, Ercole Mignone, Ercole Platesio, Giulio Cesare Pazzani, Antonio Villani, Ercole Cervi, Giovanni Antonio Durello, Cosmo Guidoni, Ercole, Francesco e Giovanni Andrea Manzoli poterono trarsi d’impaccio con qualche orazione e digiuno. Anche chi si presentò spontaneamente mesi dopo, come il Callegari, ebbe una punizione lieve.

1568

Morte in carcere di Natale Gioioso

La situazione giudiziaria di Natale Gioioso era molto pericolosa. Infatti, questi aveva già abiurato nel 1563 e, quindi, rischiava una condanna a morte come relapso.

Nell’autunno del 1568, il suo caso fu inviato a Roma, ma il Gioiso morì il 2 novembre in carcere. All’inquisitore quella morte sembrò troppo tempestiva, perché evitava un’altra pubblica esecuzione (dopo quella di Marco Magnavacca), perciò dispose l’autopsia, ma i referti medici esclusero l’ipotesi di avvelenamento.

1571

L’effige di Sadoleto è pubblicamente arsa

Nel febbraio del ‘69, venne inquisito Giulio Sadoleto. Poco prima che ne fosse emesso il mandato di cattura, fuggì in Valtellina, dove intraprese una serie fortunata di affari economici. Intanto, a Modena, il processo a suo carico proseguì per tutto l’anno successivo, finché non si giunse, nel gennaio del 1971, al pubblico rogo della sua effigie.

Morte del Castelvetro

Dopo essere fuggito dall’Italia a causa del processo inquisitoriale contro di lui, Ludovico Castelvetro si rifugiò in Chiavenna, dove ritrovò Francesco Porto.

Nel settembre del ‘61, domandò di potersi giustificare al concilio di Trento, ma, davanti al diniego, seguì il Porto a Ginevra. Si spostò a Lione, dove nel ‘67 perse i libri e manoscritti delle opere non ancora pubblicate nel saccheggio della sua casa, durante disordini per motivi religiosi. Poi, nella fuga a piedi dalla città, fu persino spogliato dei suoi ultimi averi dai briganti.

Di lì in avanti, peregrinò di continuo, recandosi di nuovo a Ginevra, in Chiavenna, a Vienna e ancora in Chiavenna, dove morì nel febbraio del ‘71, mentre progettava un trasferimento a Basilea.

Si spense in casa dei coniugi bresciani Marco e Caterina Zobia, esuli fin dal 1563 e membri ben integrati della comunità riformata, per cui si desume che abbia mantenuto una fede sostanzialmente calvinista fino alla fine. Anzi, negli scritti in esilio, pare di comprendere che la sua fede uscì rafforzata dalle vicissitudini dei suoi ultimi anni.

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